Imparare è un diritto, non un premio

Consiglio due interventi di Gianni Cuperlo sulla nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione, precedentemente Mistero della Pubblica Istruzione, ed oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito, tratti dalla sua pagina facebook.

Il primo è il collegamento all’intervenuto in Aula del 2 dicembre sul riordino dei ministeri e in particolare sulla nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito: https://youtu.be/jcl-rjmbVcs, ed il collegamento al post sulla pagina facebook.

Di seguito invece la trascrizione dell’intervento del 5 dicembre in Aula su un emendamento, ed il collegamento al post sulla pagina facebook:
Grazie Presidente,
Il problema non è il concetto di merito.
Il punto è dove lo collochi e come lo interpreti.
Per dire, una decina di giorni fa la storica filarmonica di New York fondata nel 1842 ha visto per la prima volta il numero di donne superare quello dei colleghi uomini.
È accaduto perché nella selezione dei nuovi musicisti è stato adottato un metodo innovativo: le audizioni avvengono dietro un sipario chiuso e la commissione non conosce nome, volto e genere dei candidati.
Concetto che se applicato alla selezione dei docenti nelle nostre università vedrebbe un drastico calo dei cognomi che con maggiore frequenza segnalano una peculiarità tutta italiana: la curiosa trasmissione antropologica delle cattedre e dei meriti per via ereditaria.
In questo caso però parliamo effettivamente del concetto di merito.
Ma nel caso della scuola (e della scuola dell’obbligo in particolare) quel concetto, in sé nobile, si adatta malissimo al traguardo che immagino tutti condividiamo dentro quest’Aula.
E che è consentire anche a chi non nasce in un contesto o una famiglia ricca di affrontare la pagina della sua crescita e formazione con gli stessi diritti e opportunità di coetanei più fortunati.
Perché, vedete, tra i ritardi del nostro sistema scolastico c’è anche il fatto che siamo il paese dove si boccia di più.
Il 16% contro una media europea del 12.
Al che si potrebbe rivendicare come un bene la maggiore severità delle nostre scuole.
Si potrebbe, ma non sarebbe giusto.
Perché per i ragazzi che vengono da famiglie meno abbienti le bocciature salgono al 26%.
Ecco, li, molto prima del compiersi della maggiore età per tanti, troppi, il concetto di merito è già evaporato.
Detto ciò, io capisco la posizione dei colleghi che in quest’Aula hanno difeso il principio e vorrei rassicurarli che neppure da parte nostra vi è la volontà di colpirlo come ha detto benissimo Mauro Berruto stamane.
Il problema è che avete proprio imboccato il concetto contromano.
Confondendo l’idea del merito (quello scolpito nell’articolo 34 della Costituzione) con l’ambigua categoria della meritocrazia.
Succede, non è un peccato mortale.
È come quando un ministro confonde l’umiltà con l’umiliazione.
Stessa radice ma esito contrapposto.
E comunque se non vi fidate delle nostre rassicurazioni vorrei chiedervi di non ignorare il lavoro di due bravi ricercatori della Banca d’Italia.
In uno studio dedicato hanno confrontato la Firenze di oggi con quella quattrocentesca dei Medici e hanno fatto la scoperta (piuttosto sconfortante) che le famiglie più ricche e quelle più povere (parliamo di cognomi e genealogie) sono rimaste le stesse di sei secoli e venti generazioni fa.
Voi direte, ma allora come si fa a promuovere davvero una parità di accesso e la possibilità di coltivare i meriti laddove vi siano?
Non ho certezze, ma ad esempio in Germania, Grecia, Danimarca, Scozia, Svezia, Norvegia o Finlandia nelle università pubbliche non si pagano tasse per accedervi.
Pensateci, fosse solo perché potreste dire al vostro ministro delle Infrastrutture che sarebbe un ulteriore risparmio sull’utilizzo del Pos e gli donereste un istante di felicità.
Però, e per intanto, se poteste evitare di archiviare il concetto di scuola pubblica con quello di merito noi ve ne saremmo riconoscenti.
Ma poiché temo che non lo farete, noi sul tabellone illumineremo la luce rossa e come accennato nella discussione generale su questo provvedimento in un’Aula attenta e gremita, passando col rosso si rischiano sempre un sacco di guai.


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